Il pericolo insito nella bellezza non canonica è che la sua precarietà rischia di enfatizzare il ruolo dell’osservatore. Perché quando l’immaginazione si stanca di quella fessura tra i denti, non resta che rivolgersi a un buon specialista in ortodonzia. Una volta che abbiamo collocato la bellezza nell’occhio dello spettatore, cosa succede se quell’occhio si rivolge altrove? Ma proprio questo limite era gran parte del fascino di Chloe. Il concetto soggettivo di bellezza fa dell’osservatore un essere meravigliosamente indispensabile.
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Qualunque sia il grado di felicità con la nostra compagna, l’amore per lei ci è di ostacolo ad avviare altre relazioni romantiche, a meno di non vivere in una società poligamica. Ma perché ciò dovrebbe essere causa di frustrazione, se davvero l’amiamo? Perché, se il nostro amore per lei è sempre vivo, dovremmo sentire come un limite tale condizione? Forse perché, nel risolvere il nostro bisogno di amare, non sempre riusciamo a risolvere il nostro bisogno di desiderare.
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Nell’ossessione dell’oasi, l’uomo assetato immagina l’acqua, le palme e l’ombra non perché ce ne siano oggettivi indizi, ma perché ne ha pressante necessità. I bisogni disperati fanno intravedere la soluzione attraverso le allucinazioni: l’assetato ha l’allucinazione dell’acqua, il bisogno di amore provoca l’allucinazione dell’uomo, o della donna ideale. L’ossessione dell’oasi non è mai una delusione completa: l’uomo nel deserto vede qualcosa all’orizzonte. È che le palme sono inaridite, il pozzo secco, il luogo infestato di locuste.
Alain de Botton, “Esercizi d’amore”