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Archive for the ‘Parole d’altri’ Category

Capre

Il sottoscritto declina ogni responsabilità per danni a persone o cose derivanti dall’utilizzo difforme del seguente precetto, ovvero, dalla sua applicazione nei confronti di soggetti e/o specie diversi da quelli specificatamente indicati. (luporenna)

«Dammi ascolto uomo di poca fede. Accogli le capre in casa tua, e renderai gloria al Signore».
Dopo un anno il povero si ripresentò:
«Allora, sei più felice?», chiese il giusto.
“Felice? La mia vita è un inferno. Preferisco morire piuttosto che avere ancora tra i piedi quelle maledette capre!”.
«Ecco! Adesso puoi sbarazzartene, così apprezzerai la fortuna che prima non riconoscevi».

Irène Némirosvky, “I cani e i lupi”

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Ben detto! Zio Lev

Abbattimento

Per vivere con onore bisogna struggersi,
turbarsi, battersi, sbagliare,
ricominciare da capo e buttar via tutto,
e di nuovo ricominciare a lottare
e perdere eternamente.
La calma è una vigliaccheria dell’anima.
(Lev Tolstoj)

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Danzatrice_1

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MariaTeresa

Avevo bisogno di parlare con mia sorella
(da “Fedeltà”)

Avevo bisogno di parlare con mia sorella
parlarle al telefono, intendo,
come facevo ogni mattina
e anche la sera,
quando i nipotini dicevano qualcosa che
ci stringeva il cuore

Ho chiamato il suo telefono,
ha squillato quattro volte,
potete immaginarmi trattenere il respiro,
poi c’è stato un terribile rumore telefonico,
una voce ha detto questo numero non è più attivo,
che meraviglia, ho pensato,
posso ancora chiamare,
non hanno assegnato il suo numero a un’altra persona,
malgrado due anni di assenza
per morte.

Grace Paley

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pi-day

Pi greco

È degno di ammirazione il Pi greco, tre virgola uno quattro uno.
Anche tutte le sue cifre successive sono iniziali, cinque nove due, poiché non finisce mai.
Non si lascia abbracciare sei cinque tre cinque dallo sguardo,
otto nove, dal calcolo, sette nove dall’immaginazione,
e nemmeno tre due tre otto dallo scherzo,
ossia dal paragone quattro sei con qualsiasi cosa due sei quattro tre al mondo.
Il serpente più lungo della terra dopo vari metri si interrompe.
Lo stesso, anche se un po’ dopo, fanno i serpenti delle fiabe.
Il corteo di cifre che compongono il Pi greco non si ferma sul bordo della pagina,
È capace di srotolarsi sul tavolo, nell’aria, attraverso il muro, la foglia, il nido, le nuvole,
diritto fino al cielo, per quanto è gonfio e senza fondo il cielo.
Quanto è corta la treccia della cometa, proprio un codino!
Com’è tenue il raggio della stella, che si curva a ogni spazio!
E invece qui due tre quindici trecentodiciannove il mio numero di telefono
il tuo numero di collo l’anno millenovecentosettantatré sesto piano
il numero degli inquilini sessantacinque centesimi la misura dei fianchi due dita
sciarada e cifra in cui vola e canta usignolo mio oppure si prega di mantenere la calma,
e anche la terra e il cielo passeranno,
ma non il Pi greco,
oh no, niente da fare,
esso sta lì con il suo cinque ancora passabile,
un otto niente male, un sette non ultimo,
incitando, ah, incitando
l’indolente eternità a durare.

(Wislawa Szymborska)

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sc_mare

«Una delle migliori scopate della mia vita. Sentivo l’acqua, sentivo la risacca che andava e veniva. Era come se stessi venendo con tutto l’oceano. E venivo, venivo, non finiva mai. Alle fine rotolai giù – Oh! Gesù Cristo – dissi – Oh, Gesù Cristo -.
Non so come mai Gesù Cristo finisse sempre col mischiarsi a faccende del genere.»
(Charles Bukowski)

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Eteraz

« Ali Eteraz – che significava “Nobile Protesta” – era la mia ultima incarnazione, una nuova fase del mio tentativo di soddisfare il patto congenito con l’Islam. Ali Eteraz era la forza che infrangeva l’incantesimo del silenzio che mi aveva avvolto come un bozzolo dopo che le Torri erano crollate a New York, e che aveva fatto da cuscinetto tra me e la realtà durante i molti anni alla facoltà di legge a Philadelphia. Ali Eteraz era colui che mi aveva fatto alzare la testa e affrontare il mondo in un periodo in cui mi accontentavo semplicemente di giocare ai videogame, guadagnare soldi e tentare di mettere su famiglia. Era Ali Eteraz che mi aveva fatto appassionare alla riforma dell’Islam – un movimento sommerso di milioni di musulmani in tutto il mondo, che sfidavano i teocrati e i terroristi che si erano impossessati della religione.
Ali aveva cominciato a manifestarsi ancor prima della sua nascita. Poco dopo l’undici settembre, c’era stato qualche fugace istante – alla notizia di un attentato suicida a Madrid, per esempio, o di una decapitazione in Iraq, o di una scuola femminile fatta esplodere in Pakistan – in cui la mia coscienza aveva minacciato di infiammarsi. La combustione però, non si era mai alimentata a sufficienza. La situazione era cambiata nel gennaio del 2006 con il disastro delle vignette satiriche danesi. Che questa assurdità potesse produrre tale violenza fu l’ultima goccia. «Basta!», disse a quel punto Ali Eteraz. «L’Islam non appartiene agli idioti».
Mi resi conto che il mondo aveva fame di qualcuno che si schierasse. Mi calai nel mio nuovo personaggio. Presi carta e penna e scrissi dei saggi infiammati che denunciavano i «signori dei serpenti» che manipolavano l’Islam per scopi politici e militari, i musulmani che sostenevano la pena di morte per gli apostati, i musulmani incapaci di accettare che l’Islam promettesse l’uguaglianza di tutti, i musulmani che soffocavano la libertà di parola in nome della religione – erano questi musulmani il bersaglio dei miei attacchi.
La questione dell’apostasia, l’abbandono della propria fede, erano importanti per me quanto per i riformisti. Troppi musulmani in disaccordo con il terrorismo e con la teocrazia erano accusati di apostasia e aggrediti, sfigurati e uccisi. Misi in fila una serie di citazioni dalle scritture islamiche per dimostrare che gli apostati non dovevano essere puniti. Studiai le opere dei saggi del passato e dei contemporanei. Iniziai una corrispondenza con studenti e pensatori in tutto il mondo, e insieme analizzavamo singoli versetti del Corano, perfino singole parole, e innumerevoli hadith per dimostrare ai nostri “co-religionari” estremisti che l’Islam non forniva una base per l’uccisione degli apostati.»
Ali Eteraz, “il bambino che leggeva il Corano”

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Eve_Ensler

A volte ho la sensazione di fare un torto ad un autore, estrapolando a mio piacimento qualche striminzita citazione, un aforisma, qualche frase. E’ un intento che rende oggettivamente difficile, per chi legge, valutare accuratamente e nella sua interezza le reali qualità di un artista, il suo messaggio, la sua grandiosità: lo stile, la creatività, la capacità espressiva. Purtroppo lo spazio è quello che è. Ciò nonostante, spero di riuscire comunque a suscitare, con piccoli assaggi, in coloro i quali non hanno ancora maturato una specifica conoscenza, un desiderio di approfondimento.
Fatta questa premessa, opportuna più che mai in questo caso, parlando, cioè, di Eve Ensler, un’autentica paladina, un’autrice della quale sarei tentato di riportare l’intera bibliografia, per quanto variegato, affascinate e interessante sia l’intero suo pensiero, a cominciare da “I monologhi della vagina”, vi offro un passaggio tratto da “Io sono emozione. La vita segreta delle ragazze”.
DALLA QUARTA DI COPERTINA:
Le ragazze capiscono tutto. È il loro modo speciale di essere nel mondo. Sanno tutto dell’amore, sanno consolare chi ne ha bisogno, hanno una spiccata intelligenza emotiva e affettiva, sanno anche quali colori vanno bene insieme, ma non per civetteria, solo per un innato senso del gusto. Spesso invece chi le guarda, chi vive con loro, sa poco, o quasi niente delle loro vite. I genitori, la società, la religione, vogliono etichettarle, manipolarle, impedir loro di esprimersi liberamente. Le pretendono belle, perfette, magre, obbedienti, sante. E non è difficile intuire quanto possa essere imprigionante la condizione di ragazza, ma anche come ne renda le menti più attive e sognatrici, più ironiche rispetto a quelle dei loro coetanei maschi, come ne alimenti la forza, la consapevolezza.

ECCO COSA TI DIRANNO:
Trovati un uomo.
Cerca protezione.
Il mondo è spaventoso.
Non uscire.
Sei debole.
Non prendertela tanto.
Sono solo animali.
Non essere così passionale.
Non piangere tanto.
Non fidarti di nessuno.
Non parlare con gli sconosciuti.
La gente approfitterà di te.
Chiudi le gambe.
La ragazze non sono brave:
coi numeri;
coi fatti;
a prendere decisioni difficili;
a sollevare pesi;
a organizzare;
a capire le notizie del mondo;
a pilotare aerei;
a comandare.
Se lui ti violenta, arrenditi,
ti ammazzerà se cerchi di difenderti.
Non viaggiare da sola.
Non sei niente senza un uomo.
Non fare la prima mossa,
aspetta che sia lui a notarti.
Non essere volgare.
Segui il gregge.
Rispetta le leggi.
Non essere troppo colta.
Tieni un profilo basso.
Trovati un uomo ricco.
E’ il tuo aspetto che conta,
non quel che pensi.

ECCO COSA TI DICO IO:
Sono tutte balle.
Non c’è un responsabile, tranne quelli
che fingono di esserlo.
Nessuno verrà a salvarti.
Nessuno capirà d’istinto i tuoi bisogni,
conoscerà il tuo corpo meglio di te.
Ribellati.
Chiedi.
Dì che lo vuoi.
Goditi la tua solitudine.
Prendi il treno per conto tuo e vai in posti
dove non sei mai stata.
Dormi sola sotto le stelle.
Impara a guidare col cambio manuale.
Allontanati finché non avrai più paura di
non tornare indietro.
Dì di no quando non vuoi fare una cosa.
Dì di sì se il tuo istinto è forte,
anche se qualcuno intorno a te non è d’accordo.
Decidi se vuoi essere amata o ammirata.
Decidi se farti accettare è più importante che scoprire
cosa ci fai qui.
Credi nei baci.
Lotta per la tenerezza.
Non reprimere i tuoi sentimenti.
Piangi quanto vuoi.
Fa del mondo un teatro
e appassionati alla vicenda.
Prendi il tempo che ti serve.
Và pure veloce,
se quello è il tuo passo.
Poniti queste domande:
perché sussurro quando ho qualcosa da dire?
Perché metto un punto di domanda in fondo
a tutte le mie frasi?
Perché chiedo scusa ogni volta che manifesto i miei bisogni?
Perché sto tutta curva?
O digiuno mentre mi piace mangiare?
O mi faccio del male mentre vorrei urlare?
Perché aspetto,
piagnucolo,
mi struggo,
mi adeguo?
Tu sai la verità:
a volte fa male;
i cavalli sanno provare amore;
tua madre voleva di più;
è più facile essere cattivi che intelligenti,
ma tu non sei così.

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Jeremy-Rifkin

« La coscienza empatica si fonda sulla consapevolezza che gli altri, come noi, sono esseri unici e mortali. Se empatizziamo con un altro è perché riconosciamo la sua natura fragile e finita, la sua vulnerabilità e la sua sola e unica vita; proviamo la sua solitudine esistenziale, la sua sofferenza personale e la sua lotta per esistere e svilupparsi come se fossero le nostre. Il nostro abbraccio empatico è il nostro modo di solidarizzare con l’altro e celebrare la sua vita.»

« Negli anni Cinquanta solo il 12% degli adolescenti fra i 14 e i 16 anni si dichiarava d’accordo con l’affermazione: «Sono una persona importante», ma negli anni Ottanta la percentuale dei ragazzi convinti della propria importanza è salita all’80%. Il problema è che, quando così tanti giovani si sentono speciali e più importanti degli altri, diventano meno tolleranti e meno disposti ad accettare critiche. Sono anche meno capaci di gestire i fallimenti, che sono una parte inevitabile della vita, e di esprimere empatia verso gli altri.»

Jeremy Rifkin, “La civiltà dell’empatia”

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coppia_29

« Non c’ero io nei tuoi pensieri, chissà a quale donna pensavi nelle tue fantasie, chissà a cosa pensi adesso, mentre spingi tra le mie gambe e hai paura di esplodere. Lo sento che hai paura, e non riesci a guardarmi negli occhi e ti nascondi nell’incavo della mia spalla perché io non ti veda, non ti giudichi, non stai facendo l’amore come non lo sto facendo io, ma stai lottando contro un esercito di nemici, e ti stai concentrando per scacciare il male. Ti chiedi come può fare male una cosa bella, e capisci soltanto adesso che la tua vera condanna è proprio questa, provare dolore per la bellezza, e allora è meglio aprirli gli occhi, per non perdersi in quell’abisso. Apri gli occhi, guardami adesso. Guardami! Non pensare più a niente. Non pensare … più … a niente.»
Francesca d’Aloia, “Il sogno cattivo”

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