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Come per tutte le esperienze della vita (a maggior ragione i cammini spirituali), importanti sono i presupposti: lo spirito con il quale ci si incammina e i compagni d’avventura. Intendo i corretti stimoli. Desiderare ardentemente ciò che può essere di beneficio per la nostra anima (comunemente conferme di convinzioni già parzialmente radicate) e avere, al tempo stesso, la consapevolezza di quanto concrete e ragionevoli debbano essere le nostre aspettative. Insomma, non aspettarsi, o ricercare, con intenti risolutori, integrali stravolgimenti interiori, magari accompagnati da mirabili percezioni (benché possibili, in soggetti suggestionabili), piuttosto dei semplici riscontri (anche coinvolgenti ed emozionanti) della giustezza dei propri intendimenti e del proprio tragitto spirituale. Personalmente, io credo poco alle illuminazioni estemporanee (magari me ne arrivasse una, anche “fulminea”)
Relativamente al romanzo di Coelho (Il cammino di Santiago), bisogna premettere che Coelho si presenta in modo esplicito come cattolico ma, in realtà, nei suoi libri, anche quando parla di se stesso, della sua fede (new age), troviamo un cattolicesimo infarcito di magia, spiritismo ed esoterismo di ogni genere e specie. Le vie della spiritualità sono molte, ma nel caso di Coelho si assiste al classico protestantesimo in cui tutto si giustifica nell’esperienza personale. Persino i peccati vengono dipinti come errori cancellabili con il semplice pentimento e senza alcuna mediazione ecclesiale.
Il punto è che il tutto assume un particolare fascino, che attira il lettore, in un’atmosfera in cui questa confusione spirituale sembra invece essere uno scandaglio dell’intimo umano. Il lettore inesperto, alla ricerca di “sensazioni” ed “emozioni” si ritrova, cerca Coelho e il suo modo di scrivere, perché certamente è più profondo dell’uomo medio, il quale di domande non se ne pone nemmeno una. Il lettore cattolico è più avveduto, sa assaporare l’aspetto romanzesco (l’espediente), ma con ferma coscienza di dove stia la verità.