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Posts Tagged ‘Scrivere’

caro_amico

Io scrivo troppo chiaramente, per cui devo avere uno di questi problemi:

A – Non sono sensibile
B – Non sono poetico.
C – Non ci sto proprio con la testa.

(Charles Bukowski)

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«Scrivere, pertanto, è un’attività complessa: è, insieme, preferire l’immaginario e voler comunicare; in queste due scelte si manifestano tendenze assai diverse e a prima vista contrastanti. Per pretendere di sostituire un universo inventato al mondo esistente, bisogna rifiutare aggressivamente quest’ultimo: chiunque vi stia dentro come un pesce nell’acqua e pensi che tutto vada bene, non si metterà certo a scrivere. Ma il desiderio di comunicazione presuppone che ci si interessi agli altri; anche se nel rapporto dello scrittore con l’umanità entra dell’inimicizia e del disprezzo.»
Simone de Beauvoir, “La terza età”

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« Siamo animali solitari. Passiamo la vita cercando di essere meno soli. Uno dei metodi più antichi è quello di raccontare una storia pregando l’ascoltatore affinché dica, e senta interiormente,: Sì, è proprio così, o almeno è così che mi sento. Non sei così solo come pensavi »
John Steinbeck

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Non credo esista una sostanziale differenza tra chi scrive e chi legge, la differenza è più espressa dagli argomenti che si scelgono di scrivere o leggere.
Per molti anni, non ho mai compreso che cazzo ci si trovasse nel leggere banali idiozie sull’amore. Io ho sempre letto, per svago, principalmente romanzi dell’orrore, qualche saggio sul cannibalismo o sul vampirismo, fumetti della Bonelli, poesie di Baudelaire che mi affascinavano, ma alle quali non sapevo dare un vero senso e pallosissimi manuali d’istruzioni o riassunti di corsi, per motivi lavorativi.
Ebbene, credo di aver tristemente compreso che, in molti casi, le persone scrivano o leggano in base a ciò che gli manca nella vita, per questo va così tanto l’amore.
Spero di buttare presto la biro nel cesso e di ricominciare a rileggere qualche romanzo di Barker.

Paul Mehis

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«Forse dovresti scrivere.»
«Invece tu dovresti piantarla di leggere tutto ciò che è stato scritto.»
«E cosa dovrei fare nel tempo libero?»
«Immergerti nella vita vera.»
«C’è un libro che parla proprio di questo, sai.»

Philip Roth, “Il professore di desiderio”

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Immagino che sia capitato anche a voi di trovarvi in uno stato di profonda prostrazione, di avere l’umore sotto i piedi, di trovarvi in un vicolo cieco, apparentemente senza via d’uscita. Sono stati d’animo terribili, devastanti. Una volta ho scritto in proposito, senza eccessiva convinzione, per la verità, essendo disarmonicamente ispirato :
Un essere umano, compreso il sottoscritto, quando è in preda a stati d’animo estremi, più che altro negativi, dovrebbe sforzarsi comunque di comunicare pubblicamente, cercando, però, di misurare e parole. Il rischio di una deriva, di qualunque genere, è molto alto, a meno che non sia dotato di un buon autocontrollo o sia un professionista, capace, quindi, di esporre in modo composto, costruttivo e comprensibile anche tetri pensieri. Questo non è il mio caso, per cui, quando avverto impellente la necessità di comunicare, ricorro ad un espediente: riporto frasi d’autore, passaggi profondi, sensati, attinenti ad una particolare condizione. Per me vale come un esorcismo. Ultimamente ne faccio largo uso. Ovviamente, a tale pratica si può far ricorso per tante ragioni, sospinti da qualunque stato d’animo. Ciò vale per me e per chiunque di voi. Io lo considero un omaggio, una forma di riguardo, una delicatezza, che sia forgiato da un vecchio saggio o da una semisconosciuta giovinetta di 33 anni.

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” Nessuno dovrebbe raccontare la propria storia a meno che non sia assolutamente certo di avere qualcosa da dire. Ad essere sinceri non è che io sia proprio sicura che quanto sto per rivelarvi possa cambiare la vita a qualcuno o sia così importante; so però che le parole mi si affollano sulla punta delle dita, e se non le scarico sulla tastiera potrebbero tornare indietro e trasformarsi in grumi lessicali intorno al mio cuore. Grumi del genere possono essere peggio di un coagulo di sangue: quest’ultimo può ucciderti se raggiunge un’area vitale dell’organismo, i coaguli di parole se ne stanno lì, a procurarti un’occasionale acidità di stomaco per tutte le cose che avresti potuto dire e non hai detto.”

” Capita che s’incontrino persone che non dovrebbero mai finire insieme, in nessun caso, neanche fossero l’ultimo uomo e l’ultima donna rimasti sulla faccia della terra, per il dolore e la sofferenza che inevitabilmente si procureranno l’un l’altra. “

Meenakshi Reddy Madhavan, “Diario segreto di una ragazza indiana”

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«Ma quel che più conta è la mia convinzione che l’abitudine di scrivere così, solo per il mio occhio, è un buon esercizio. Scioglie le giunture. Poco importano le cilecche e le papere. A questa velocità devo sparare al mio argomento i colpi più diretti e fulminei, e così devo mettere mano alle parole, e sceglierle e lanciarle, senza maggior indugio di quanto me ne occorre a tuffare la penna nel calamaio.[…]
Che tipo di diario vorrei fosse il mio? Un tessuto a maglie lente, ma non sciatto: tanto elastico da contenere qualunque cosa mi venga in mente, solenne, lieve o bellissima. Vorrei che somigliasse a una scrivania vecchia e profonda o a un ripostiglio spazioso, in cui si butta un cumulo di oggetti disparati senza nemmeno guardarli bene. Mi piacerebbe tornare indietro, dopo un anno o due, e trovare che quel guazzabuglio si è selezionato e raffinato da sé, coagulandosi, come fanno misteriosamente i depositi di questo genere, in una forma; abbastanza trasparente da trasmettere la luce della nostra vita, eppure ferma, un tranquillo composto che abbia il distacco di un’opera d’arte. Il requisito principale (ho pensato rileggendo i miei vecchi diari) non è fare la parte del censore, ma scrivere come detta l’umore, e di qualunque cosa; perché mi ha incuriosita la mia passione per le cose buttate alla rinfusa, e ho scoperto il significato proprio là dove allora non lo vedevo. Ma la scioltezza si muta facilmente in sciattezza. Occorre un piccolo sforzo per affrontare un personaggio o un episodio che deve essere annotato. Né si può consentire alla penna di scrivere senza guida; si rischia di diventare pigri e trasandati.»

Virginia Woolf, “Diario di una scrittrice”

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Capita anche a voi di avvertire una leggerissima apprensione un attimo dopo aver pubblicato un articolo? A volte succede anche dopo avere inviato un semplice commento. Ovviamente non è come affrontare un esame. E’ ben diverso dal mettersi alla prova in senso stretto, con tutti gli inquietanti interrogativi che ne conseguono. Tutto si svolge con naturalezza, leggerezza e soprattutto con il piacere di dialogare con persone straordinarie.
Consentitemi questa ruffianeria: io vi trovo, chi per una sfumatura chi per un’altra, delle persone piacevolissime, meravigliose, di grande spessore, sia umano che culturale.
Tornando all’argomento, quella che nasce è la semplice curiosità di sapere come vengono interpretati alcuni concetti, alcuni pensieri, la scelta di certi argomenti e cosa essi suscitano. Se dalle parole traspare in forma corretta il sentimento, felice o triste che sia, che anima chi scrive in quel preciso istante. Oppure se, nonostante i suoi sforzi, non riesca comunque a mascherare alcune tendenze poco lodevoli. Nel mio caso, ad esempio, di evitare di apparire sempre e comunque: patetico. Un rischio per me frequentissimo. Molto meglio, comunque, che subdolo lumacone o addirittura: vecchio rattuso.
Chiudo l’articolo con il proposito, per il futuro, di trattare sempre meno questi aspetti teorici.
E’ un po’ come chi, in campo fotografico, cura prevalentemente i temi tecnici, esprimendosi in termini di ottiche, aberrazioni prospettiche, profondità di campo, e poi di creatività artistica: nemmeno l’ombra

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«Dentro di me penso di poter scrivere qualunque cosa, anche se è impossibile e anche se non è vera. In genere mi accontento di scrivere nella testa. È più facile. Nella testa tutto si srotola senza difficoltà. Ma una volta scritti i pensieri si trasformano, si deformano, e tutto diventa falso. A causa delle parole. Dovunque mi trovi, scrivo. Scrivo mentre vado verso il bus, scrivo nel bus, nello spogliatoio degli uomini, davanti al mio macchinario. Il guaio è che io non scrivo ciò che dovrei scrivere, scrivo qualunque cosa, cose che nessuno può comprendere e che nemmeno io comprendo. La sera, quando ricopio quello che ho scritto nella mia testa durante la giornata, mi domando perché ho scritto tutto ciò. Per chi, e per quale ragione?».

Agota Kristof, “Ieri”

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