Un sussulto
Concediti un sussulto di dignità,
di misericordia:
non sono carne da godere o da macello,
sono creatura come te,
contraddittorio impasto di cielo e di terra,
di miele e di dolore.
Devi accettarmi, non plasmarmi
-come argilla il vasaio-
Sono pesanti le tue mani,
magli che illividiscono
e spaccano la pelle,
aprono rivoli di sangue,
lacrime ed orrore.
Non appartengo a te
né a nessun altro, sappilo:
io sono della stessa materia delle stelle,
degli acini che si gonfiano nel grappolo,
della linfa che vivifica i tronchi
e fiorisce gemme a primavera.
La mia anima è ovunque, credilo:
nelle maree lievitate dalla luna,
nei movimenti delle posidonie sui fondali,
nel frullio d’ali degli uccelli,
nel vibratile sussurro della neve.
Non è forza la tua,
è solo debolezza vigliacca
che m’umilia e t’umilia,
che recide ogni filo della trama
tessuta un giorno insieme.
Perché l’anima, sai, non si possiede
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Una donna che invoca misericordia? Che accetta – da quanto tempo? – mani pesanti, “magli che illividiscono e spaccano la pelle, aprono rivoli di sangue, lacrime ed orrore”? Che accetta – da quanto tempo? – di farsi umiliare? Che accetta – da quanto tempo? – di vivere una vita che non è vita bensì inferno, accanto a un uomo che odia, con un corpo diventato prigione?! O donna, cosa diavolo aspetti a svegliarti? Non te l’hanno ancora detto che la prima volta che un uomo ti fa male è colpa sua ma la seconda volta è colpa tua? O non sarà per caso che in fin dei conti ti piace farti menare e poi frignare che sei tanto infelice? Ma mezzo grammo di dignità no? Proprio niente niente?
A me ste cose mi mandano proprio fuori dalla grazia di Dio, guarda.
Comunque sono situazioni reali.
Sì, e vanno combattute alla fonte, cioè prendendo a sonori schiaffoni tutte le stronze che stanno lì a farsi menare con la idiotissima scusa che “io però lo amo” e poi vengono a impestarci l’aria coi loro frignamenti.